martedì 23 luglio 2024

I Signori del Calcio - Alessio Tacchinardi

Noi JLSSN - Juventus La Storia Siamo Noi vi facciamo entrare nel mondo bianconero di uno dei protagonisti della Juventus vincente e leggendaria dell'era Marcello Lippi: Alessio Tacchinardi.

Vi offriamo quindi il servizio filmato andato in onda sulle reti di Sky Sport Italia 'I Signori del Calcio'.

Buona Visione!

 

alessio

 

Per vedere il servizio filmato in esclusiva e senza alcun inganno clicca qua!

 
Juve con un Tacchinardi in più 
Promosso titolare, l'ex monellaccio promette di non tradire la fiducia di Lippi 
«Non voglio più sbagliare» 
CHATILLON DAL NOSTRO INVIATO
Anche a 23 anni (compiuti proprio ieri) puoi fermarti a riflettere per fare un primo bilancio della tua vita. Tacchinardi ha portato a termine con successo questa operazione che a volte non riesce neppure ai cinquantenni. E si è accorto che non si può fare i monellacci in eterno. Andare a cento all'ora può dare emozioni forti, ma poi ti devi fermare. Soprattutto se non hai la vocazione dell'hippy, ma sei un campione in carriera. Tacchinardi non ha fatto tutto da solo. L'hanno aiutato in tanti a crescere, anche con le maniere forti. Più di tutti il fratello, in una certa misura anche Lippi che, mettendolo spesso in castigo (leggi panchina o tribuna), gli ha fatto capire tante cose della vita. E oggi il «Tacchi» passa a riscuotere. 
E' finito il tempo delle illusioni-delusioni, è arrivata l'ora di svoltare. Insomma, come ha spiegato Lippi, il ragazzo fa carriera e parte titolare. Per ora, in attesa dei nazionali, a tempo pieno; più avanti si vedrà. Così il centrocampo della Juve viene sottoposto all'ennesimo restyling. Tacchinardi, un tempo definito proprio da Lippi un sosia di Rijkaard, potrà essere utilizzato in triplice versione: come esterno di destra quando in mezzo al campo saranno in quattro; come centrale accanto a Deschamps quando saranno in cinque; come vice Deschamps se il francese accuserà le fatiche mondiali. E visto che Lippi ha preannunciato una Juve pronta a cambiare aspetto in corsa più velocemente di come una top model cambia vestito in passerella, il lavoro non gli mancherà. 
L'anno di Tacchinardi titolare inizia con una confessione: «Per me gli ultimi quattro sono stati anni difficili. Due ritiri fa mi sono perfino chiesto cosa ci facevo qui io. Lippi mi diceva che dovevo fare esperienza, ma era difficile cambiare se non giocavo mai. Così l'anno scorso ho pensato fosse giusto andare via per giocare, ma ogni trattativa è andata in fumo e per me si è iniziata un'altra stagione difficile. Fer fortuna qualcosa è cambiato, ho messo insieme 23 presenze, a Parma ho svoltato. Lippi mi ha mandato in campo sullo 0-2 e mi sono chiesto: ora che faccio? Invece con un assist e un gol ho aiutato la squadra a pareggiare. Poi ho disputato altre cinque partite di seguito e di lì tutto è cambiato». Nel senso che il Marcello ha finalmente visto Tacchinardi con occhi diversi e a fine stagione si è sbilanciato: da luglio diventi titolare. Nulla è casuale nella metamorfosi di un giocatore bravo e sfortunato, bloccato per 4 mesi da una polmonite quando Sacchi era pronto a portarlo in azzurro. Forse sarebbe cresciuto e maturato anche prima senza etichette di fenomeno. Ora che ha imparato a non percorrere il cammino della vita a velocità supersonica, saprà accettare anche eventuali delusioni: 
«Sì, sono molto tranquillo. Ho fiducia in Lippi, ma so che lui non ha riguardi per nessuno: se giochi male finisci in panchina. Sono al punto cruciale e non posso compromettere tutto. Il contratto scade nel 2001, ma la cosa non mi importa. Conta fare bene, in lontananza vedo anche una maglia azzurra». 
E forte della conquistata maturità, aggiunge: 
«Mi spiace per Conte, so cosa prova per avenlo vissuto. Il posto si perde e si riconquista, la ricetta è lavorare molto e parlare poco». 
Che ci crediate o no, è davvero Tacchinardi. 
Fabio Vergnano

tratto da : Archivio La Stampa



alessio


alessio

 
alessio



alessio

Stelle Bianconere: Alessio Tacchinardi

Attraverso il nostro blog JLSSN - Juventus La Storia Siamo Noi vi regaliamo questo filmato sulla leggenda bianconera Alessio Tacchinardi.

Dopo gli inizi da tornante nel settore giovanile dell' AtalantaCesare Prandelli, suo tecnico nella formazione Primavera dei bergamaschi, lo sposta a regista di centrocampo per meglio sfruttarne personalità, senso della posizione e lancio in avanti. Con l'approdo alla Juventus, nel primo biennio a Torino Marcello Lippi lo arretra inizialmente con successo a difensore centrale, in uno schieramento a zona. Dopo la positiva stagione 1994-1995 in questo ruolo, tuttavia, una successiva crisi tecnica lo porta ad abbandonare il reparto arretrato per ritornare stabilmente, dal 1997, a centrocampo, posizione in cui sporadicamente trova anche la rete grazie a potenti conclusioni dalla distanza.

Nell'estate 1994 viene acquistato dalla Juventus per 4 miliardi di lire. Nella stagione d'esordio con i bianconeri, nonostante la giovane età, Marcello Lippi gli concede 24 presenze in campionato, contribuendo attivamente alla conquista del ventitreesimo scudetto della storia bianconera; nella stessa annata solleva anche la Coppa Italia. L'anno successivo la Juventus vince la Champions League, anche se non scende in campo nella finale di Roma contro gli olandesi dell' Ajax. Con i bianconeri vince negli anni successivi altri quattro campionati, due dei quali, 2001-2002 e 2002-2003, lo vedono protagonista del centrocampo bianconero in coppia con Edgar Davids.

 Buona Visione!





 

È sempre stato juventino dentro, Alessio Tacchinardi, fin dalla nascita. Colori che scorrono più forti che mai, continuamente, nelle sue vene perché: «Mi sono sentito sempre uno della curva, ho gioito, sofferto e lo faccio ancora con loro, i miei tifosi».
Giocava accanto a gente del calibro di Zidane, Davids, Deschamps, ma non si faceva mai intimorire dal blasone altrui anzi era il primo a lottare, la sua grinta non aveva eguali, rubava palloni e subito impostava, da vero e proprio leader. Ha passato lunga vita alla corte della sua dama, donandole tutti gli ornamenti più belli, tutto quello che c’era da conquistare. L’unico suo rimpianto è stato quello: «Di non aver chiuso la carriera nella mia squadra del cuore, ci tenevo tanto, ma se poi mi dicono che dovevo fare la riserva a Tiago e Almirón...».
Parole di amore, di rabbia, tristezza. Frasi da juventino vero. Concetti e pensieri che emergono ancora oggi, tanto che Alessio parla di disastro, confusione ed errori imperdonabili per spiegare quello che sta succedendo alla Vecchia Signora e invita a trovare la possibile soluzione alla crisi coniando il seguente motto: «Dare la Juventus agli juventini, dal settore giovanile alla prima squadra».

tratto da Calcio GP - marzo 2011 

 




Su Gaetano Scirea: "La cosa che mi colpiva di più era la sua eleganza palla al piede. Si vede che aveva origini da centrocampista e non le aveva dimenticate" - Alessio Tacchinardi


"Lo Juventisimo é una cosa che prende i tifosi, la squadra e la società e li rende un blocco unito contro tutto e tutti. E che si esprime nella voglia di vincere sempre, di essere i più forti sapendo di ricevere in cambio odio da ogni altro elemento esterno al mondo Juve. Un odio che nutre la fame di vittorie, e che rende i nostri successi ancora più belli. Prima di diventare un calciatore bianconero ero un semplice tifoso, all'interno dello spogliatoio ho capito meglio il senso della Juve. All'inizio non capivo le facce dei compagni quando si pareggiava, mi dicevo che in fondo avevamo fatto un punto. Poi ho capito che se giochi nella Juve, il pareggio equivale a una sconfitta. Conta unicamente il successo, esattamente come dice Boniperti" - Alessio Tacchinardi


"Di finali di Champions League io ne ho perse tre su quattro, le finali sono drammatiche. Non ci voglio pensare perché poi è talmente tanta la delusione che ti porti dietro che vivi male anche tutta l'estate e la preparazione successiva" - Alessio Tacchinardi

alessio

"Il primo flash che mi viene in mente del 5 Maggio 2002? Beh, la faccia del mister! Lippi l'unico che forse ci credeva. Ricordo che in quella settimana la squadra non si era allenata con la testa giusta perché si pensava che l'Inter avrebbe vinto. E invece Lippi seppe trasferire in noi le sue motivazioni feroci, mentre la società ci martellava tutti i giorni: "Non è finita, non è finita...". Io in panchina, insieme ai compagni, faticavo a capire cosa stesse succedendo nella folle partita di Roma. Certo, sentivamo le urla dei tifosi e quando dissi: "Mister, adesso sono 4-2...", lui mi rispose: "Come?". E io: "In che senso? Prima dici che dobbiamo crederci e ora che faccia fai...". Lippi rimase incredulo. La radiolina? Ce l'aveva Aldo Esposito, il fisioterapista solo che a un certo punto non andava più. Maresca a quel punto fece da filtro con i tifosi e noi ci chiedemmo cosa fosse accaduto guardando mezzo stadio che esultava, l'altro in silenzio e viceversa" - Alessio Tacchinardi

juventus

"Con la Juve ho vinto molto [...]. La vittoria più bella rimane la Champions conquistata contro l'Ajax nel 1996. La soddisfazione più grande è invece quella di avere giocato undici anni con una squadra gloriosa come la Juve, e soprattutto di essermi meritato una stella con il mio nome tra i 50 giocatori più rappresentativi della storia bianconera nel nuovo stadio." - Alessio Tacchinardi

alessandro

"Andavo a vedere Platini al Comunale, quindi vivere quei campi da protagonista mi scatenava grandissime emozioni." - Alessio Tacchinardi

antonio

"Ho un rapporto molto forte con Andrea Agnelli: siamo coetanei e ricordo che veniva spesso a vedere gli allenamenti. Si vedeva che aveva tanta passione. Sono contento che abbia avuto la possibilità di riprendere in mano le redini della società e l'abbia riportata a essere quella che era prima, ricordo che quando diventò presidente gli mandai un messaggio dicendo che ero sicuro al 100% che questa squadra, nelle sue mani, sarebbe tornata forte come lo era una volta. Credo poi che lui ci abbia messo qualcosa in più anche per onorare la memoria di suo padre. Gliel'ho anche detto: quanto sarà orgoglioso, lì dal cielo, di vedere i risultati che stai raggiungendo!" - Alessio Tacchinardi

 

 

 




alessio



lunedì 22 luglio 2024

Stelle Bianconere: Paolo Rossi

Noi di JLSSN - Juventus La Storia Siamo Noi vi regaliamo questo filmato sulla leggenda bianconera Paolo Rossi.

Soprannominato Pablito dopo il suo exploit al campionato del mondo 1978 in Argentina, lo si ricorda principalmente per le sue prodezze e per i suoi gol alla successiva rassegna iridata di Spagna '82, dove si aggiudicò il titolo di capocannoniere. Nello stesso anno vinse anche il Pallone d'oro (terzo italiano ad aggiudicarselo) dopo Omar Sivori e Gianni Rivera.

Rossi era un attaccante veloce, molto abile negli spazi stretti dell'area di rigore, dove poteva sfruttare le sue doti di tempismo e opportunismo. Schierato inizialmente come ala destra, il suo ruolo cambiò nel Lanerossi Vicenza quando l'allenatore Giovan Battista Fabbri decise di proporlo come centravanti; questo diventerà il ruolo definitivo dell'attaccante italiano. Riguardo a questo cambio di posizione, Rossi dichiarò:

«Forse sono stato il primo centrattacco rapido e svelto, che aveva nelle intuizioni la sua dote principale, unita a una tecnica sopraffina. Uno dei segreti del mio successo è stato quello di giocare intelligentemente, pensando sempre cosa fare un secondo prima che mi arrivasse il pallone, proprio per supplire alla mancanza di qualità fisiche eccelse. Giocare sull'anticipo era una mia grande prerogativa, cercavo sempre di rubare il tempo al mio avversario, sfruttando le mie doti di opportunista: in area di rigore cercavo sempre di sfruttare ogni piccolo errore dei difensori, facendomi trovare nel posto giusto al momento giusto».

 

Buona Visione!


paolo



 

Finiti ieri i due anni di squalifica, domenica giocherà a Udine.
Paolo Rossi ha voltato pagina  
TORINO — E' finita ieri la squalifica di Paolo Rossi, due anni senza giocare il calcio ufficiale, due anni nella parte del ragazzino ingenuo e fesso, due anni spesi anche a preparare questo momento, il rientro domenica prossima a Udine. E adesso, a poche ore dal fischio dell'arbitro, un profondissimo spiegabilissimo senso di vuoto. A Paolo Rossi mancano le battute, tutto è già stato detto troppe volte, ripeterlo non piace, di nuovo ci dovrebbe essere soltanto il gioco, il toccar palla per la Juventus. Come l'intellettuale secondo Marcello Marchesi («non ho niente da dire, ma lo devo dire»). Rossi ha fronteggiato interviste inquisitorie, si è vuotato di parole, di concetti. Un concetto gli è rimasto dentro, come inciso, anzi scolpito: 
«Io non sono un pentito, e neppure un redento. Sono un innocente che è stato fregato. Dunque non ho espiato un bel niente. Ma al tempo stesso non voglio vantare crediti. E' andata cosi, amen. Lo dico senza essere fatalista, lo dico perché non c'è altro da dire. Sono molto preoccupato del futuro, la Juventus deve vincere il campionato e se non lo vince magari è colpa mia, la Nazionale deve fare bene in Spagna e se non fa bene magari è colpa mia. Conto sulla gente, me la sento sempre vicina, raccolgo lo stesso amore d'una volta. Darò tutto senza voler dimostrare nulla. Non mi riguardano i casi di Giordano e Manfredonia, non ho rivincite da prendermi. Non eseguo nemmeno l'esercizio del perdono. Basta, voglio che questi due anni spariscano. Dico amen, ma non perché sia alla fine di una una preghiera». 
E' pallido, ha una brutta barba di tre giorni, è pieno di brufoli. Intorno negli allenamenti, ravvisa silenzi strani, o sonorità troppo gagliarde per essere naturali: nel pubblico, nei compagni. 
«So bene bene di cosa tutti vorrebbero parlare, e un po' riescono a parlare. Non vorrei che certe mie fughe, certi miei silenzi, venissero scambiati per paura, per snobbismo. Io dico semplicemente che questi due anni non contano più nulla, è inutile rimetterli in piedi adesso. Sono ancora giovane, nella vita non mi va male, amo mia moglie, ho dei lavori extracalcistici bene avviati e non troppo assorbenti. Sono nella più forte squadra italiana e la Nazionale mi ha tenuto il posto, facendo bene anche senza di me. Questo conta». 
Si aspetta manifestazioni speciali, telegrammi? Magari un telegramma da Graziani, l'unica voce critica, onestamente critica, sul suo ritorno azzurro? 
«Niente, spero che non accada niente di tutto questo. Stacco il telefono per tante ore. Penso ad allenarmi, a studiare, voglio diventare ragioniere. Non ho quantificato la fregatura, cioè non ho calcolato quanti milioni ho perso. Ho fatto calcoli morali, la gente mi sta aiutando a crederli ancora attivi. Penso che i miei nemici siano pochi, e quasi tutti fra gli invidiosi cronici. Non ho paura neppure delle cerimonie di domenica. Non ho feticismi personali, riti da compiere. Neanche il segno di croce, quello meccanico che molti si fanno. Non credo che la gente, domenica a Udine, riempirà lo stadio per me: è un match importante per lo scudetto nostro e la salvezza dei friulani, sarebbe stato comunque il tutto esaurito». 
E' l'anno di tante celebrazioni, nella Juventus: la resurrezione di Virdis, il primo gol di Galderisi, i quarantanni di Zoff, adesso il rientro di Rossi, poi quello di Bettega. Quasi una barba. 
«Non vedo vedo cosa ci sia da celebrare per il fatto che uno squalificato può tornare in campo. Vorrei che si celebrasse, casomai, la mia partita per quella che sarà, e basta. L'allenatore Trapattoni parlerà con me del match soltanto alla vigilia, io manco so se entro in campo subito, oppure se aspetto in panchina. Mi sta bene tutto, sono un professionista». 
Giocherà subito. Amici gli mettono in mano letterine d'auguri, ragazzine gli chiedono l'ultimo autografo da non giocatore. Tifosi spiritati gli elencano i loro disagi per il viaggio di domenica, partenza alle due, piena notte, da Torino. 
«Verranno a Udine da Prato i miei genitori, mio fratello. Verrà Simonetta, rimarremo da quelle parti lunedi, ho amici laggiù, del gruppo di Zanone, ma ci sarei rimasto anche senza niente da dover festeggiare». 
Vive a Torino in una bella casa del centro, inquietata da molti specchi. Lui, Simonetta, un setter. Nella casa abita anche una importante attivissima estetista-massaggiatrice, incontrano Rossi per le scale, in ascensore. I signori ricchi che magari sono suoi tifosi, e domenica pagheranno un posto in tribuna quanto una seduta presso l'estetista. Paolo ha fatto in fretta a ricostruirsi itinerari, amicizie nella città che fu sua quando era ragazzino. c
«Sto bene in tanti sensi, Torino e Juventus e lavoro e famiglia. Non mi hanno disfatto questi due anni, non mi distruggeranno gli ultimi due giorni». 
Lui appare sicuro, il prezzo di questa sicurezza non lo sappiamo. Ha pagato per una colpa, sia chiaro, anche se la parola «redento» lo fa arrabbiare, preferisce la parola «fesso».  
Gian Paolo Ormezzano

tratto da: La Stampa 30 Aprile 1982 


 


"Per il Brasile fu una lezione per la quale dovrebbero ringraziarci e darmi un premio. Da quella sconfitta impararono molto, tanto che poi vinsero altri due mondiali. Dopo quella gara loro sono diventati più guardinghi, si sono europeizzati, eppure vederli giocare è sempre uno spettacolo." - Paolo Rossi riguardo Italia-Brasile 3-2


"Noi vivevamo il calcio con passione [...] Non dubito che oggi sia lo stesso, perché quando scendi in campo dimentichi tutto il resto, però è vero che noi eravamo ancora una generazione di calciatori che potevano essere toccati. Proprio così: toccati. Ora invece i giocatori sono percepiti dai tifosi come distanti, inaccessibili. Ai miei tempi uscivi dall'allenamento e ti fermavi a parlare con la gente, il giornalista ti prendeva sottobraccio e nasceva l'intervista. Ora bisogna passare attraverso mille filtri e livelli." - Paolo Rossi


"Si trattava direttamente col presidente. Alla Juve, con Boniperti non c'era molto da discutere. Gli sedevi davanti e ti metteva sotto il naso un contratto con la cifra già scritta a matita. E allora cosa siamo qui a fare?, gli chiedevo. Dopo la vittoria del Mondiale [1982], io, Gentile e Tardelli ci litigammo per 10 milioni [di lire] in più che non voleva riconoscerci. Siamo campioni del mondo, dicevamo, e lui: "Tanto alla Juve si vince, quello che non vi do adesso lo prenderete in premi". - Paolo Rossi




"Per sfondare nel mondo professionistico devi dimostrare di poterlo fare. Lo sport è una prova continua, fino a quando smetti sei sotto esame, sempre valutato." - Paolo Rossi


"Vi siete mai chiesti perché quel Mondiale è rimasto nell'immaginario collettivo della gente? Quel Mondiale è stata una vittoria non solo inaspettata — che sono quelle che ti danno maggiore gioia — ma anche di tutti: non solo di Paolo Rossi capocannoniere, né solo della squadra. Quella vittoria è considerata la vittoria dell'Italia, in cui tutti, nessuno escluso, hanno partecipato in maniera forte, e si sono sentiti dentro quell'Italia." - Paolo Rossi

paolo

"I dubbi e le incertezze fanno parte delle persone coraggiose, di quelli che a un certo punto decidono di mettersi alla prova. È normale avere qualche dubbio o qualche incertezza, ma la volontà — quella di voler arrivare, di farcela — non mi è mai mancata." - Paolo Rossi





paolo