lunedì 25 dicembre 2023

27 Dicembre 1970: Inter - Juventus

É il 27 Dicembre 1970 e Inter e Juventus si sfidano nella undicesima giornata nel Girone di Andata del Campionato Italiano di Calcio di Serie A 1970-71 allo Stadio 'Giuseppe Meazza - San Siro' di Milano.

Nel campionato che consacra proprio l'Inter come Campione d'Italia, i bianconeri si imbattano in una tragedia che sconvolge la loro stagione agonistica. Infatti il giovane allenatore Armando Picchi scompare dopo una breve malattia.
La dirigenza juventina si affiderá così all'esperto Čestmír Vycpálek, ma concluderá la stagione in un anonimo quarto posto finale.

Buona Visione!

 

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Stagione 1970-1971 - Campionato di Serie A - 11 andata
Milano - Stadio San Siro
Domenica 27 dicembre 1970 ore 14:30
INTER-JUVENTUS 2-0
MARCATORI: Corso 10, Boninsegna 67

INTER: Vieri L., Bellugi, Facchetti, Bedin, Giubertoni, Burgnich, Jair, Bertini, Boninsegna, Mazzola A., Corso
Allenatore: Giovanni Invernizzi

JUVENTUS: Tancredi, Spinosi, Furino, Cuccureddu, Morini, Salvadore, Causio, Haller, Anastasi, Marchetti G., Bettega R.
Allenatore: Armando Picchi

ARBITRO: Toselli



Mister Picchi, ritorno a Milano (Si può anche perdere dove, da calciatore, era abituato a vincere sempre o quasi) 

Milano, lunedì mattina. Sabato sera a Milano. Una Milano deserta, sonnacchiosa, avvolta in un silenzio che raramente conosce. Al di là della vetrata il paesaggio è bianco. Sottili fiocchi di neve sfarfallano attorno ai lampioni incappucciati. 

« Mister, domani non si gioca ». 

« Vai a letto e fai un pensierino all'Inter prima di dormire. Domani si gioca ». 

Sono appena passate le ventidue, Canzonissima è alla sigla di chiusura. Per i giocatori della Juventus è l'ora di coricarsi. L'hall del Palace resta vuota. Armando Picchi indugia sulla poltrona. Nella poltrona di fronte il dottor La Neve carica una delle sue pipe artistiche, poi va di sopra a dare un'occhiata a Piloni in preda al mal di denti. 

« Quello fa una notte d'inferno. Domani non ce la fa ad andare in panchina. Io di denti ne so qualcosa. E proprio qui, in quest'albergo ». 

Fuori la neve continua a cl cadere. Quel paesaggio, quell'ora e quel silenzio sollecitano i ricordi. E i ricordi di Picchi, in questa città, sono tanti. Non ci si butta alle spalle il passato spensieratamente. Picchi è un sentimentale che si mette la « maschera » per non apparirlo. Però si avverte dalle pieghe amare attorno alla bocca, anche quando sorride. 

« Nove anni a Milano, sette all'Inter ». 

Sospira: 

« E in quest'albergo almeno tre anni e mezzo. Perché qui si veniva in ritiro e i ritiri di Helenio Herrera erano lunghi, interminabili, ossessivi ». 

Gli impiegati della portineria lo hanno accolto come un vecchio amico, il barman gli è andato incontro tendendogli la mano. Poi le telefonate. 

« Il signor Picchi, per favore ». 

In una cabina telefonica gli hanno fatto trascorrere quasi tutta la sera. A ricevere auguri e saluti e ricambiarli. La Milano interista, quella morattiana, ha ancora nel cuore Picchi. Così come Picchi, ora torinese, non ha cancellato ancora Milano dai suoi sentimenti. Picchi lo ha detto, forse, a Suarez in una telefonata che ha fatto a Genova prima di sera. Suarez e Pìcchi sono grandi amici per sessanta giorni Suarez ha telefonato quasi ogni giorno per conoscere le condizioni di salute della moglie di Armando. 

« Sessanta giorni », confessa ora Picchi, « che non scorderò mai ». 

Ora, però, la signora è in Riviera e sta guarendo: adesso è Picchi che chiama l'amico Luis per fargli coraggio. Il bimbo di Suarez sta molto male, si teme per la sua vita. 

« Abbiamo vissuto insieme i giorni splendenti dell'Inter. Quando me ne sono andato, Suarez non si e più trovato a suo agio ». 

Il distacco di Picchi dall'Inter fu burrascoso, così come lo è stato quello di Suarez. L'altro amico di Picchi era Guarneri. Anche Guarneri ruppe clamorosamente con l'Inter. Ora ha spezzato i legami anche con il grande calcio. Se ne è andato a giocare in una squadra di Serie D, la Cremonese, e il debutto sarebbe passato sotto silenzio se non se, ne fosse ricordato proprio Picchi. 

« Mister oggi si gioca ». 

« Che cosa vi avevo detto ieri sera »? 

Sono le undici dì domenica mattina. L'hall del Palace è affollata. I giocatori della Juventus si sono appena alzati da tavola, ora ascoltano il mister, sotto l'occhio vigile ed interessato di Boniperti. Piloni ha la faccia sbattuta. Ha dormito, però male. Da Torino Picchi ha fatto venire Ferioli. 

« Ho un po' di febbre », 

annuncia Salvadore. Ma subilo aggiunge: 

« Però gioco lo stesso ». 

Picchi sorride. Non aveva dubbi. É tranquillo, dice di aver dormito un sonno profondo come quello di Condè. Ha messo nuovamente la maschera: così vuole il mestiere. Che cosa importa agli altri se si è rigirato nel letto prima di addormentarsi, proprio come gli accadeva quando era giocatore? Milano lo ha già salutato come allenatore e avversario, nell'agosto scorso. Ma allora la partita era amichevole, non c'erano in gioco i punti di una classifica che ingigantisce le rivalità e dilata gli interessi societari. Posto bruscamente dinanzi ad una previsione,

Picchi ribatte: 

« Non c'è nulla di decisivo. Semmai la partita è decisiva per l'Inter. Noi abbiamo i nostri programmi. Se vinciamo noi tanto meglio; ma non possiamo piangere magari se perdiamo. L'Inter è sempre una grande squadra. L'ho detto anche ai ragazzi, per caricarli ». 

Si appartano tutti in una saletta. É il momento dì annunciare la squadra che va i in campo e di assegnare ad ognuno i suoi compiti. La rinuncia a Capello è costata a Picchi qualche ora di sonno. Ma la partita, oggi, egli vuole impostarla diversamente dal solito. Capello esce dalla riunione imbronciato. 

« D'accordo, mister. D'accordo ». 

Stavolta Picchi non trova i fiori degli ex compagni ad attenderlo sul terreno gelato di San Siro. In agosto, quando glieli offrirono, fu una sorpresa per tutti. Anche per lo stesso presidente dell'Inter. Si salutano affettuosamente con Mazzola. Burgnich, Facchetti. Picchi — lo confesserà poi — muove istintivamente qualche passo verso il centro del campo, come se dovesse giocare. In panchina siede però un altro uomo, un uomo che improvvisamente ha cancellato dalla mente tutto ciò che appartiene al passato. Sabato sera, in albergo, era diverso: poteva anche abbandonarsi ai ricordi. Ora, una realtà nuova gli impone di essere diverso. La partita è finita, ed è finita male. Addossato alla porta dello spogliatoio Picchi parla ai giornalisti che lo circondano, con calma, senza recriminare, senza lanciare accuse. Sul suo viso è ritornata la r.iaschera, ma la piega alla bocca è marcatamente amara. 

Sorride: 

« Si può anche perdere dove si era abituati a vincere... ». 

Burgnich lo abbraccia. 

« Non te la prendere Armando! Questa Juventus mi ricorda l'Inter di un tempo. Ricordi? ». 

E Picchi è costretto a ricordare, ma questo è un ricordo che illumina anche il futuro suo e della sua nuova squadra. 

Fulvio Cinti
tratto da: La Stampa 28 dicembre 1970




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